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Il problema della BSE cominciò a presentarsi in Gran Bretagna tra la fine degli Anni Ottanta e l'inizio degli Anni Novanta. Si ipotizzò allora che la causa della diffusione del morbo consistesse nell'uso di farine animali nell'alimentazione dei bovini e, pertanto, fu proibito l'utilizzo di farine di carne nella produzione di mangimi destinati agli stessi. Qualche anno più tardi, il provvedimento fu adottato anche nel resto d'Europa, finche', in Italia, con Ordinanza 30 aprile 1997, fu introdotto il divieto di "somministrazione ai ruminanti di mangimi contenenti proteine derivanti da tessuti animali", compresa dunque anche la farina di pesce. Per quanto riguarda quest'ultima e le farine ottenute da volatili, tale divieto di utilizzo nei ruminanti fu abolito con D.M. del 16 ottobre 1997 pubblicato sulla G.U. del 28/5/97. Alla fine del 2000, con il riacutizzarsi dell'epidemia, fu deciso, in sede europea, di vietare l'utilizzo di farine animali provenienti da lavorazione di residui definiti ad "alto rischio", in qualsiasi tipo di mangime, e di consentire l'utilizzo delle farine definite a "basso rischio" solo nel PET-FOOD. (Decreto CE 2000/766 del 4 Dicembre 2000) Per quanto riguarda la farina di pesce, invece, fu deciso che quella prodotta con materiale a "basso rischio", ossia con pesce fresco pescato in mare o con scarti della lavorazione del pesce destinato ad uso umano (per esempio gli scarti della lavorazione del tonno), potesse continuare ad essere impiegata per l'alimentazione di tutti gli animali, ad eccezione degli erbivori.
Mentre il pericolo di trasmettere il morbo potrebbe, infatti, sussistere a livello teorico, impiegando mangimi contenenti farina di carne o di sangue, (si riciclano infatti così parti di animali potenzialmente infettate da BSE), nel caso di utilizzo della farina di pesce questo pericolo non esiste, in quanto la stessa è prodotta con pesce fresco, o scarti di pesce fresco, che sono assolutamente immuni dal rischio BSE. Pertanto, la farine di pesce attualmente in commercio, non solo potrebbero essere tranquillamente somministrate ai bovini, ma addirittura rappresentano uno dei pochi proteici biologici e genuini disponibili sul mercato, in quanto prodotte con metodo semplicissimo senza rischio di sofisticazioni ed alterazioni, al contrario di altri prodotti, come ad esempio la farina di soia, che per essere resa commestibile viene sottoposta a trattamenti con solventi chimici ! L'inclusione della farina di pesce tra quelle proibite nella produzione di mangimi per ruminanti è stata 'giustificata' dalla possibilità che la stessa possa essere sofisticata con farina di carne, che ha un valore ed un costo molto inferiore. Ma la nuova normativa ha penalizzato anche i produttori di mangime non destinato a ruminanti. Chi fra questi ha infatti voluto, o dovuto, continuare ad usare la farina di pesce, è stato obbligato ad attrezzare i propri impianti per una gestione che consentisse di tenere la farina di pesce nettamente separata dalle altre materie prime, in ogni fase del trasporto, dello stoccaggio e della lavorazione. Non esiste tolleranza, infatti, per presenza di farina di pesce in mangimi che non ne prevedano l'inclusione ! Ci preme sottolineare anche la grande confusione che si è venuta a creare in seguito alla delega da parte dello Stato centrale alle singole Regioni, in materia sanitaria. Soprattutto in questi ultimi anni, si sono notati da parte dei vari Assessorati alla Sanità, U.V.A.C., A.S.L. e Autorità Veterinarie di zona, atteggiamenti contraddittori che hanno, in alcuni casi, creato difficoltà nell'applicazione delle normative. Molte ditte sono andate e vanno tuttora incontro a notevoli difficoltà dovute alle forti limitazioni e, in certi casi, al divieto totale, di utilizzo della farina di pesce nei propri impianti, mentre ditte con impianti ugualmente attrezzati ma situate in altra regione, magari solo a pochi chilometri di distanza, sono lasciate, giustamente, libere di lavorare. Secondo noi,
i provvedimenti adottati contro la farina di pesce non hanno ragione d'essere
per almeno due motivi: il primo è di carattere tecnico-scientifico,
ossia l'eventuale presenza di farina di carne all'interno della farina
di pesce è facilmente riscontrabile con il metodo microscopico,
anche in presenza di percentuali inferiori allo 0,2% (facciamo presente
che per avere un guadagno da questo tipo di operazione la percentuale
di farina di carne deve essere cospicua). Il secondo motivo è di
carattere 'ideologico': se si dovesse proibire l'utilizzo di tutti i prodotti
facilmente sofisticabili, saremmo costretti a stravolgere gran parte delle
nostre abitudini alimentari e ad eliminare prodotti d'uso comune come
pane e vino (vedi scandalo del vino 'al metanolo'...) Nessuno,
infine, superato l'eccessivo stato di allarme provocato nei primi tempi
dai pochi casi di BSE riscontrati nei bovini, ha poi adeguatamente sottolineato
il rapporto tra il numero di bovini colpiti da BSE in Italia ed i casi
accertati di trasmissione all'uomo. Alcune considerazioni al riguardo
potrebbero evidenziare come le misure adottate, soprattutto se riferite
alla farina di pesce, siano sproporzionate ed inoltre interpretate in
chiave troppo restrittiva.
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